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Esperienza personale con lo ‘sceriffo di quartiere’

All’inizio del lockdown, quando le restrizioni non erano ancora così stringenti per l’attività sportiva (ancora permessa in spazi aperti e in solitaria), mi è capitato di subire l’aggressione verbale di uno ‘sceriffo di quartiere’ durante una seduta di stretching vicinissima alla mia abitazione. 

Costui, munito di mascherina al collo e di cellulare in mano per immortalare il reato, si è avvicinato a me – distante da lui oltre 50 metri –  dandomi dell’untrice irresponsabile ed altro. L’istinto era quello di difendermi spiegando l’ordinanza comunale vigente però ho scelto di ritirarmi dalla discussione. 

Perché? 

Perché ho avuto paura della paura che ho percepito in quell’uomo, in quella reazione esagerata e male indirizzata. 

Sono rimasta profondamente colpita da quel comportamento; tanti esseri umani, per ragioni personali, familiari o sociali, non riescono a permettersi di provare alcune emozioni, tra queste la paura (specie gli uomini), dirottando tutto sulla rabbia.

Sembra più facile dire “sono arrabbiato con te” piuttosto che confessarsi “io ho paura”. 

Il significato funzionale dello sceriffo nazionale

In quanto psicologa, psicoterapeuta oltre che sportiva praticante, mi sono interrogata a fondo sul significato funzionale dello sceriffo nazionale

La paura (insieme alla gioia, alla tristezza, al disgusto e alla rabbia) è un’emozione primaria, fondamentale per la nostra sopravvivenza. Essa segnala la presenza di un pericolo imminente (minaccia alla vita) e ci orienta alla difesa. A secondo della percezione della nostra probabilità di successo, ci orienteremo all’attacco, alla fuga o ad altre reazioni di difesa. Se non provassimo paura, non riusciremmo a proteggerci. 
Una dose giusta di paura è funzionale.

Provare invece TROPPA paura o TROPPO POCA determina la perdita di lucidità e la messa in atto di condotte controproducenti e rischiose per noi stessi, per i nostri cari e per l’intera comunità.

Esempi di troppa paura: rifornimenti compulsivi nei supermercati; affollamento in spazi chiusi; lavaggi esagerati; ipocondria; isolamento totale; abbuffata di informazioni, fuga disordinata dalle città…

Esempi di troppo poca paura: negazione del pericolo; contatto con persone contagiate; visita a familiari anziani o malati, sottovalutazione del rischio nel prendere l’ultimo treno da Milano…

Bisogno umano di individuare il nemico

Chi ha una consapevolezza ridotta dei propri stati mentali e reagisce d’istinto piuttosto che scegliere il comportamento più adeguato alla situazione, può diventare più pericoloso del runner – untore e più bisognoso di una attribuzione esterna che giustifichi il disagio interiore. 

In più, SARS – CoV2 è un ‘nemico invisibile’ dalle dimensioni di 100-150 nm di diametro (molto più piccolo del diametro di un capello umano) che non riesce a giustificare il pervasivo senso di impotenza, di vulnerabilità e di costrizione che stiamo sperimentando. Per questa ragione serve un nemico più grande e riconoscibile, un ‘nemico controllabile’ su cui recuperare la percezione di controllo e prevedibilità (runners, genitori con figli per mano poco distanti da casa, teorie del complotto…).

L’essere umano crea il colpevole per l’illusione del controllo e, soprattutto, per gestire il disagio viscerale di fronte all’esperienza di impotenza sulla Morte con la M maiuscola che sembra scegliere le sue vittime come in una roulette russa mondiale.

Siamo umani, troppo umani

Ma, ahimè, l’impotenza esiste e bisogna imparare a farci i conti. Probabilmente, uno dei messaggi di questa esperienza a contatto con la fragilità dello stare al mondo, può esser proprio questa. Siamo forti e fragili, insieme. E bisognerà imparare ad accettare il fatto che non siamo immortali né eroi. Siamo solo umani, ancor più piccoli di SARS – CoV2 se inseriti nell’Universo imprevedibile e sconfinato che ci ospita. 

Il nostro bisogno umano di controllo, paradossalmente, ci espone al rischio orientando la nostra attenzione su un particolare del quadro generale del quale rischiamo di trascurare qualcosa.

Nelle situazioni di emergenza, soprattutto in un caso di emergenza mondiale come questa, che ha stravolto i progetti ed il senso stesso dell’esistenza di tutti, è normale provare disorientamento, paura, rabbia, tristezza, angoscia, irritazione, smania, impotenza, bisogno di sentirsi utili, senso di inadeguatezza e transitare da una sensazione all’altra come in una centrifuga. E’ normale avere disturbi del sonno, difficoltà a mantenere la concentrazione, sentirsi stanchi o iperattivi, irritati e inquieti. E’ normale avere pensieri intrusivi e ricorrenti, sentirsi stressati, procrastinare le cose da fare o avere difficoltà relazionali con familiari, amici o colleghi. E’ normale. 

Cosa si può fare?

RESTARE CONNESSI anziché negare o spaventarsi o evitare i nostri sentimenti.

RICONOSCERE che sotto ogni emozione e reazione si cela un pensiero che aspetta solo di essere portato in superficie.

NON GIUDICARE le nostre emozioni ma accoglierle e lasciarle andare. Le emozioni non sono giuste o sbagliate; sono solo emozioni di cui perdiamo il controllo per mancanza di esperienza di contatto con alcune di esse.

NON GIUDICARE le emozioni o le condotte degli altri se non sono fuorilegge. Siamo tutti nella stessa emergenza ma tutti con strategie, storie di vita, abitazioni e situazioni differenti. E’ importante comprendere il punto di vista dell’altro. 

RICORDARSI che non si è soli.

RESTARE UMANI. E’ fondamentale mantenersi saldi sui nostri valori, su ciò che è importante per noi e sui piccoli gesti (un cenno di saluto dietro alla mascherina, un sorriso, un grazie in questo nuovo ambiente solitario e silenzioso che si è creato e che ci porta a sperimentare uno strano stato di alienazione, la condivisione di una ‘ricetta’ che ha funzionato…).

Ci dobbiamo OCCUPARE di noi e degli altri, non PRE-OCCUPARE – CONTROLLARE.

ACCETTARE questo momento senza starsi troppo a chiedere ‘Perché a me? Perché proprio adesso?’’ e COSTRUIRE il tempo che ci separa dal tornare fuori dalle nostre case. 

FOTO: Alessandro Cariboni