La psicologia incontra molte resistenze sin dagli albori, luoghi comuni che non intendono tramontare. In realtà per vivere bene sarebbe necessario sentirsi bene. Oltre ad un’alimentazione corretta e una buona forma fisica, occorre anche la conoscenza dei propri stati mentali; in fondo già gli antichi lo dicevano, “mens sana in corpore sano”.
Questo viene però trascurato per il pregiudizio di credersi forti solo se riusciamo a cavarcela da soli, per il timore di scoprire chissà quale Mr Hyde insito dentro di noi o per la vergogna di poter essere etichettati come matti da parenti e conoscenti… Insomma, dallo psicologo si va quando siamo al limite o quando è il corpo a deciderlo esplodendo in sintomi che non possono più essere celati.
Le radici di tanta diffidenza verso la psicologia sono da ricercare nelle false credenze che hanno accompagnato lo studio della mente, nei ciarlatani che nei secoli hanno speculato sulla sofferenza interiore e sulla fragilità delle persone e addirittura nella cinematografia, basti pensare ai film di Woody Allen.
“E’ normale che il tuo terapeuta ti telefoni alle due di notte per dirti che la sua fidanzata lo ha lasciato?” – da Io e Annie.
Per natura, siamo dotati di un bagaglio di conoscenze psichiche innate (nozioni di psicologia semplice o ingenua) che utilizziamo per destreggiarci nella vita quotidiana. Tecniche, atteggiamenti e strategie che ci permettono, più o meno consapevolmente, di sopravvivere, di adattarci alle situazioni ambientali e interpersonali, di affrontare parte dei conflitti interiori.
In certi momenti della vita, parlare con un parente o con un amico, può essere determinante. Due chiacchiere, un pizzico di empatia e un paio di consigli possono bastare per rimetterci in carreggiata.
Ma come possiamo fare quando tutto si complica e ci troviamo persi in circoli viziosi dove la via d’uscita sembra difficile anche solo da riconoscere? Quando le emozioni annebbiano i pensieri e ci sentiamo sopraffatti dalla rabbia (picchiamo o sbraitiamo perché incapaci di spiegare le nostre ragioni) o dall’ansia (sopraffatti per non riuscire a gestire le troppe variabili in gioco), dalla tristezza (che rende inutile ogni nostra reazione), dalla paura (che paralizza), dalla vergogna (che ci fa sentire esposti al giudizio di tutti) o dal senso di colpa (negandoci di perseguire la nostra felicità per non fare torto a qualcuno), che fare?
Innanzitutto occorre spogliarsi dall’orgoglio che rende ciechi per mettere in discussione non solo tutto e tutti ma noi stessi, le nostre scelte o non scelte, le nostre azioni o esitazioni: “Io non ho bisogno, non sono mica matto!”. Occorre assumersi la responsabilità (e il rischio) di mettersi in gioco andando oltre il “Perché nessuno mi capisce?” per conoscere cosa si celi dietro comportamenti o emozioni – ora eccessive ora assenti – ed imparare nuove strategie più funzionali per reagire agli stimoli, alle provocazioni.
Spesso siamo troppo rigidi, limitati da regole e doveri da noi stessi imposti; siamo catastrofici o assolutistici nell’elaborare giudizi e autocritiche. Fermamente convinti del nostro pensiero e del nostro procedere in modo razionale, in realtà ragioniamo per inferenze, per credenze acquisite da chissà quale fonte. Come possiamo dunque essere oggettivi?
L’aiuto di un esperto, esterno al nostro mondo, potrebbe essere utile per conoscere i fattori che ci hanno plasmato e condotto fin qui; per riconoscere le situazioni per noi problematiche ed aumentare la gamma di comportamenti da poter mettere in atto per reagire coerentemente.
Un percorso dove poter diventare gli osservatori della nostra vita e far luce sui nostri schemi mentali, sui criteri che utilizziamo per selezionare, catalogare e dare significato alle informazioni. Bisognerebbe capire con quale paio di occhiali stiamo guardando il mondo per non modificare troppo la realtà.
Talvolta essere forti non passa dall’arroccarsi dentro la propria fortezza, ma anzi può coincidere con la capacità di mettere in discussione il proprio punto di vista.