Niente si fa se prima non lo si è sognato.
E’ d’oro la medaglia al collo dell’atleta sul gradino più alto del podio. Ma non è tutto oro quello che luccica; l’altro lato, infatti, quello vicino al cuore, custodisce i sacrifici, la fatica, le rinunce, le cadute, la perseveranza, la messa in discussione di tutto per capire gli errori e la voglia di andare avanti perché ritirarsi è facile. Il difficile è rialzarsi.
Quel riconoscimento sancisce il viaggio, ogni singolo passo che ha condotto fino sopra quel podio; il sudore, quel sapore salato, si unisce alla realizzazione di un sogno.
E’ un percorso che ogni atleta organizza insieme al proprio team. Non si vince da soli. In quella medaglia, ci sono riflesse anche le vite di altri: familiari, gregari, miti e modelli ispiratori, professionisti e sostenitori. Ma in gara, l’atleta è solo in mezzo ai tanti concorrenti e starà a lui gestire la fatica fisica e mentale, quelle voci interiori che rimuginano sulle aspettative proprie e su quelle di chi ha investito su di lui, sul reale valore di sé e sul timore di perdere ‘per la testa’, se vale davvero la pena di faticare per quello scopo immaginando che gli altri stiano guardando, studiando e, perché no, anche ‘gufando’.
Quando la stanchezza prende il sopravvento, c’è infatti il rischio che, se l’atleta non è stato anticipatamente preparato a gestire lo sforzo e lo stress, qualche meccanismo si blocchi in un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Comincia così a percepire (e ingigantire) le sensazioni sgradevoli: avvertirà che le energie se ne stanno andando e che i dolori si stanno moltiplicando, che i pronostici non si stanno realizzando e inizierà a colpevolizzarsi per gli allenamenti non completati, per esempio. Di conseguenza, immaginerà di provare vergogna o colpa se la gara andasse male…insomma, assorbito nella spirale della negatività e cedendo ai costi della fatica, accantonerà l’obiettivo finale per un vantaggio immediato: la resa.
Il successo di un atleta è deciso sì dal talento e dalla capacità di interpretare la gara, di gestire lo sforzo e di arrivare in forma al momento giusto, ma anche dal saper affrontare l’aspetto mentale: i momenti di crisi, gli imprevisti, le aspettative, gli stress, le maldicenze e la stanchezza psichica che taglia le gambe, accorcia il fiato e fa rallentare.
Il raggiungimento di un qualsiasi obiettivo non è un diritto acquisito alla nascita. E non sempre ci riusciamo.
Perché allora in tanti partono decisi ma solo una parte di essi centra il bersaglio?
Perché tutti vorremmo ma solo alcuni lo vogliono davvero, innanzitutto.
Occorre credere in se stessi prima di chiunque altro, desiderare così tanto la meta stabilita da percepire la fatica e le rinunce come un investimento necessario; occorre conoscersi nei pregi e, soprattutto, nelle fragilità (le paure e le credenze limitanti), per scardinarle, migliorare e passare oltre.
Preparare il corpo ad una prestazione atletica è condizione necessaria ma non sufficiente; se la mente non sarà ben addestrata per affrontare i possibili ostacoli durante il percorso, sarà difficile arrivare al traguardo.
Non è soltanto questione di talento e di fortuna anche se è un ingrediente importante per non combattere gli infortuni o il meteo avverso, per esempio. Servirà una buona strategia, la consapevolezza di sé (per scegliere mete adeguate alle reali potenzialità) e la motivazione al successo, quella spinta interiore che potrà farvi tirar fuori il 101% nel giorno che conta.
Non si inventa una vittoria; una vittoria la si costruisce.
Noi, in primis, costituiamo l’acceleratore e il freno verso i traguardi sperati, siamo il nostro ‘atleta da battere’.
Attenzione, quindi, a schiacciare il pedale giusto!