Mi chiamo Chiara Del Nero. Al di là dei miei simpatici dati anagrafici, io sono nera – o meglio – ‹‹io sono marrone›› come ho sempre preferito precisare da bambina. ‹‹Marrone come la cacca››, mi sentivo rispondere, alchè ribadivo: ‹‹E’ vero. Ma anche come la cioccolata; io preferisco una prospettiva più dolce››.
Che ero nera era vero; perché arrabbiarmi con compagni che esprimevano l’ovvio? La rabbia non avrebbe cambiato la mia condizione cromatica. Ero nera e lo sono tutt’ora ma non è tutto quello che sono.
Nella mia infanzia e adolescenza, ricordo di aver affrontato pochi episodi offensivi razziali. Sono stata fortunata ma fortunati sono stati anche i ragazzi e le ragazze che hanno gravitato intorno a me in quegli anni. Penso che abbiano avuto un contesto familiare ed educativo in genere capace di insegnar loro il rispetto e il confronto con la diversità, guardando ad essa come opportunità di crescita senza temerla. E’ la paura che dispone allo screditamento dell’altro, insieme alla percezione di incapacità nel contrastare la minaccia. E maggiore è il nostro senso di inefficacia e peggiore sarà lo screditamento. La cosa buffa è notare che il confronto si trasla dal piano comportamentale, dove il rischio è di perdere, al piano genetico e identitario, dove non c’è possibilità di confronto.
Si nasce bianchi o neri, cristiani o ebrei o musulmani non per scelta o virtù.
Per caso.
L’essere umano, in tutte le epoche, ha temuto, screditato, perseguitato ora una ora l’altra razza o religione… In questi anni, schiacciati dalla perdita dei valori oltre che dell’incertezza lavorativa, abbiamo paura che ci venga portato via quel poco che sentiamo nostro o che crediamo ci spetti di diritto. Ma dove sta scritto che una persona dalla pelle nera non possa essere migliore di un bianco in qualcosa? Perché non può essere un migliore studente o un migliore atleta o un miglior professionista? Perché denigrare invece che accettare la sfida e assumersi la responsabilità dell’esito del confronto? Perché non migliorare se stessi invece che infangare l’immagine altrui?
I nostri avi, primitivi, guardavano al diverso come una minaccia da evitare. Ma ai giorni nostri la vera minaccia evolutiva è proprio la discriminazione mossa dalla paura, dalla motivazione di rango. Prevaricazione e prepotenza non sono sinonimi di forza a 360°. E’ nell’ascolto dei punti di vista che si svela la vera forza. Soltanto chi è sicuro di sé non teme il confronto col diverso (nero o bianco, grasso o magro, ebreo o musulmano…).
Io, senza scomodare i massimi sistemi e confrontarmi col concetto di razzismo, ho sempre preferito credere che, in quegli episodi, i compagni mi importunassero per povertà emotiva o per invidia o per ignoranza oppure per sentito dire da terzi (il contesto sociale).
Contrastavano il mio essere nera con parole forti – di cui volevo credere non conoscessero l’impatto emotivo su di me – o con mezzucci sporchi (quando bucavano le ruote della mia bici) invece che con la cultura e la conoscenza.
Mio padre, mentre riparavamo le gomme bucate, mi spiegava che la miglior reazione non era rispondere con altra forza ma la comprensione del gesto, il giusto distacco e l’intelligenza…
Sono trascorsi oltre vent’anni da quei giorni e, purtroppo, vedo ancora ripetersi soprusi analoghi o peggiori. Guardando al passato mi accorgo che la storia non insegna.
Forse perché non viene studiata come si dovrebbe…