Il termine stress, spesso associato a situazioni sgradevoli, descrive dal punto di vista fisiologico quell’attivazione organica che consente al corpo di reagire ad un cambiamento, una richiesta o una minaccia. E’ quindi una risposta adattativa che diventa disfunzionale quando viene alterata nella frequenza o nell’intensità danneggiandoci, talvolta, in modo irreversibile.
Le conseguenze sono di natura somatica, psichica e interpersonale: patologie cardiovascolari, cutanee, gastrointestinali, aumento del consumo di sigarette e/o di alcoolici, disturbi del sonno, cambiamenti nell’appetito, senso di agitazione o rallentamento, disinvestimento, deficit della memoria, difficoltà a prendere decisioni, sentimenti di rabbia e di impotenza … fino alla condizione estrema del burn out.
Sul posto di lavoro, soggetti differenti per temperamento, età, stili di vita, formazione professionale, regolazione emotiva, capacità di adattamento e problem solving anche se sollecitati da analoghi stimoli, possono reagire in maniera diversa lungo un continuum che vede agli estremi nessuna o eccessiva reazione allo stress.
Spesso tutto comincia con una sensazione di “esaurimento” sia di energie che di voglia di continuare a mettersi in gioco. Svegliarsi al mattino sperando che arrivi in fretta la fine del turno; agognare la pausa caffè o la pausa pranzo; desiderare di disconnettersi da un posto avvertito come una interminabile pena da scontare. Questo è ciò che provano molti dipendenti; un malessere che contamina l’intera qualità della vita poiché almeno metà della giornata viene impiegata a sopravvivere in un ambiente ostile. Quando i costi di impegnarsi vengono avvertiti maggiori dei benefici, l’organismo inizia a difendersi, a giocare al ribasso sempre un po’ di più; come se andasse in letargo in attesa di tempi migliori. Dal punto di vista evolutivo, il burn out potrebbe essere interpretato come una reazione istintiva, utile a proteggersi da privazioni e sacrifici contingenti ed evitare così ulteriori perdite.
Anche se cambiare lavoro sarebbe il primo desiderio, oggigiorno risulta essere l’opzione meno realistica e vantaggiosa. Il burn out spesso colpisce ed erode la base ed il centro della piramide lavorativa il cui vertice dirigenziale si dimostra verosimilmente carente di progettualità e capacità di gestione del personale.
Dove l’ambiente funziona, i dipendenti lavorano coesi: per questo sarebbe utile lavorare sul consolidamento del senso di comunità e del lavoro di squadra, sul senso di giustizia tra premi e promozioni e impegno dimostrato, sulla qualità degli scambi interpersonali tra colleghi.
Ma se anche questa opzione – migliorare l’ambiente di lavoro da parte dei responsabili – dovesse rivelarsi poco realistica perché troppo dispendiosa, poco commerciale e non dipendente dalla nostra volontà, che fare?
In questo caso diventa necessario ‘fare un passo indietro’, cambiare prospettiva per ridimensionare il logoramento quotidiano, ciò che ci impedisce di godere del resto delle nostre attività e relazioni.
Il benessere generale potrebbe migliorare accettando la condizione svantaggiosa (che non può essere né cambiata al suo interno né da noi sostituita perché offre sostentamento) e rimettendoci in gioco in altri settori, per reclutare energie nuove e sentirci più appagati: sport e tempo libero, famiglia di origine, coppia, genitorialità, vita di comunità, volontariato, studi e letture, ecc…
In un contesto che per tante ragioni non può cambiare, è solo cambiando la prospettiva su esso che potremmo modificare la qualità della nostra vita. Accettare una condizione difficile non significa apprezzarla; significa prendere consapevolezza dei costi del continuare a contrastarla e cominciare ad investire altrove quelle energie.