Nikefobia_psicologia dello sport_del nero_

Studiando la storia di vinti e vincitori (e i loro più grandi flop) degli ultimi anni, mi sono accorta di quanto sia numeroso il popolo di atleti e altri professionisti che in carriera si sono inceppati a un passo da un traguardo ambito. Forse per aver sottovalutato l’avversario più ostile: se stessi.

Ad un passo dalla gloria, basta davvero poco per…non farcela. Senza scomodare i grandi campioni (Tyson Gay o Federica Pellegrini, tra i tanti), anche a noi possono presentarsi eventi di questo tipo: aver sentito il nostro braccio farsi debole in una battaglia all’ultimo punto; non riuscire a organizzare una frase di senso compiuto ad un evento importante; essere nella gara in cui la vittoria potrebbe cambiarci carriera e ritrovarsi due zavorre al posto delle gambe.

 Nikefobia: terminologia greca composta da “nike” vittoria e “phobos” paura. Può colpire chiunque nonostante la consapevolezza di avere le caratteristiche giuste per farcela. Una volta innescatasi, il timore si alimenta con ritiri, emozioni e pensieri secondari – autocritica, vergogna, senso di colpa o di inadeguatezza… – peggiorando il blocco psichico e producendo ulteriori disfatte.

 Ma la paura di vincere che senso ha?

Se lo scopo è chiaro e fino a quel giorno si è lavorato duramente facendo anche sacrifici e rinunce, perché ad un passo dalla meta si innesca un meccanismo autosabotante?

Raggiungere una meta, qualunque essa sia (scolastica, sportiva, lavorativa, sociale…) ha sempre una faccia che resta nascosta. Può sembrare assurdo o paradossale ma un esito positivo può sprigionare incertezze sul proprio valore personale e la percezione di inadeguatezza; in persone con storie di vita particolari, può sorgere il dubbio di non possedere realmente il tipo di abilità che quel traguardo richiede.

Ognuno di noi, sebbene considerato capace e talentuoso dagli altri, se non si percepisce tale, può mettere in atto sistemi di difesa per timore di non essere all’altezza o di deludere le aspettative di familiari, compagni o colleghi.
Non è questione di essere migliori o peggiori ma di come riuscire a gestire questo tipo di reazione qualora si dovesse presentare. Questo è un timore che può nascere in chiunque di noi abbia sviluppato un’idea di sé negativa (“penso di non essere abbastanza meritevole”) o si senta in colpa perché quel traguardo ha recato sofferenza a persone care o si imbatta in un successo inaspettato, in grado di cambiare la zona confort fatta dal nostro ruolo sociale, di routine e abitudini rassicuranti.

Per questi motivi è importante prepararsi sia all’evento che alle conseguenze (positive e negative) del centrare l’obiettivo: che tipo di svantaggio può celare ottenere il diploma di laurea o la promozione lavorativa o la vincita di un torneo? Può esporci a standard prestativi più alti o a pressioni esterne? Può sottoporci ad un maggior carico di responsabilità? Oppure può metterci di fronte a compiti o avversari più temuti?

Il punto cruciale sta nel come lavora la nostra testa: ciò che pensiamo può influire sugli input che il cervello invia al corpo predisponendolo all’evento oppure proteggendolo.

Molti sono i metodi per affrontare la nikefobia e tutti escludono l’evitamento, la negazione o la fuga dai propri mostri interiori. La migliore maniera per non perire di fronte all’avversario più ostile, noi stessi, è allearsi con esso.

Ciò che possiamo fare per non ostacolarci è fare luce nella zona d’ombra, la nostra parte custode dei timori più profondi, talvolta promotori di comportamenti apparentemente paradossali.