Vincere non è sorpassare gli altri ma superare se stessi.
Pisa Half Marathon, the day after
Sono le 5:30 … tra quattro ore, la mezza tanto attesa, mi aspetterà alla partenza e domani dovrò già parlarne al passato. Sono emozionata. Lo stomaco è chiuso come nei miei momenti migliori…e mentre fuori è ancora buio, compongo la borsa. …pronti per la colazione! Oggi è una gara ma per me è una festa: ho voglia di correre nella miaPisa, in mezzo agli atleti ai quali ho fatto compagnia con le ‘pillole’ di psicologia e sport in questi mesi di preparazione.
Oggi, dovrebbe essere una buona giornata, né freddo né caldo né pioggia.
Ore 9:30: partenza. Il mio obiettivo è quello di correre insieme ai pacer dell’1h40’ e mi prendo alla lettera: gli sto così incollata da sentirmi, ogni tanto, rimbalzare in testa i palloncini.
Il ritmo è un po’ forte all’inizio e in poco più che un attimo siamo in Piazza dei Miracoli, come poter rallentare? Mi lascio attraversare dall’energia di questo ampio spazio secolare. Sto risalendo il sottopasso dopo l’incrocio con Via Pietrasantina (tra la Pam e il Wok World) quando mi domando se sarò davvero capace di portare a casa l’obiettivo considerato che, non siamo ancora al km 5 e sento già le gambe stanche.
Mi ricordo che rimuginare su questo tipo di pensieri, di certo, non mi renderà la corsa più semplice, perciò metto da parte i timori e riprendo a fare quello che mi ero prefissa di fare: mantenere la respirazione costante mentre mi godo il panorama, ascolto i discorsi dei compagni di viaggio e resto vicina ai pacer.
Il ristoro al km 5 è un toccasana; quel bicchier d’acqua al volo è tutto quello di cui c’è bisogno e poi via lungo il viale che porta ad immergersi nel parco di San Rossore. Qualcuno si chiede dove siano i cavalli, altri dove si trovino i cinghiali e i cervi, altri ancora, scherzano sul fermarsi un attimo a fare i funghi.
Tra sorrisi abbozzati e fiato corto, il gruppo inizia a sgranarsi sotto al peso dei chilometri che iniziano ad accumularsi nelle gambe. Intanto i pacer continuano ad incoraggiare e a rallegrare l’atmosfera di noi runners oramai proiettati verso il ristoro che si vede in lontananza, a ridosso del km 10 (mi pare!). E’ bello perché qui, nella periferia della gara, il più forte aiuta il più debole per cui ci scambiamo battute e ci passiamo l’acqua a vicenda.
Nella mia carriera agonistica, ho imparato a cooperare e a competere: tra tanti anni, so che sarà questo ciò che resterà impresso nella mia mente, la condivisione dell’acqua in San Rossore e la ricerca dei cervi con lo sguardo un po’ appannato dalla stanchezza.
Con fatica, torno a concentrarmi sulla respirazione, provando a lasciarmi indietro pensieri allarmistici che ogni tanto fanno capolino. Pensieri che segnalano la fatica e propongono soluzioni contraddittorie con il mio obiettivo: ‘rallenta un pochino, poi lo riprenderai il gruppo’ o ‘fermati, chi te lo fa fare di durare tutta questa fatica?’.
Il panorama è magnifico, all’altezza di questa domenica di straordinaria follia!
Usciamo dal parco ed i pensieri vengono spazzati via dal vento contrario che ci accoglie in via delle Lenze. Cerco di restare coperta in questa strada stretta, di raccogliere le energie e proiettarmi al km 15. Nonostante la perfezione dei ristori e del servizio spugnaggio, intorno al km 17 inizia la crisi.
Ci avviamo ad uscire dal centro abitato lungo la via dell’Argine quando ad un tratto, di fronte a me, si concretizza una piccola salita – il mio cervello la interpreta come ‘scalata cosmica’ – che dovrebbe portare alla grande rotonda prima del ponte del CEP. Di colpo, le gambe si appesantiscono insieme alle braccia, come in preda ad un ammutinamento, ed io vengo investita dalla nebbia mentale. Tutto si fa difficilissimo e sono sopraffatta dallo sconforto nel mentre che la salita si avvicina.
Continuo a ripetermi che la gara inizia adesso, che adesso è tutta questione di testa, che sono stati corsi oltre due terzi di gara ma niente di tutto questo sembra darmi sollievo. I pacer incitano ma la loro voce mi sembra ora come ovattata, impastata. Il momento è difficile per tutti; vedo il gruppo farsi sempre più rado. Torno al mio ancoraggio e a concentrarmi sulla respirazione, a focalizzarmi sui vari sacrifici e sugli allenamenti fatti per essere lì, sul ponte del CEP oggi, 9 ottobre 2016.
Penso a quanto ho atteso questo giorno, al conto alla rovescia iniziato oltre tre mesi fa, agli articoli scritti da atleta-psicologa per questa grande manifestazione, agli atleti incontrati, alle persone che mi hanno accompagnato fin qui e che, oggi, mi stanno supportando lungo il percorso. Penso al passato – al mio passato da quattrocentista – e al cambiamento che mi ha messo alla prova su nuove emozioni e problematiche. E penso anche che il futuro non è scritto da nessuna parte, lo costruiamo noi, ed oggi, il mio l’avrei costruito su quel ponte del CEP. Mi convinco che per realizzare il mio piccolo sogno dell’ora e quaranta devo stringere i denti ed organizzarmi per superare la crisi. Continuo a mantenere costante la respirazione e a mettere un piede davanti all’altro senza perdere di vista il gruppo.
Incrocio il mio allenatore, mi grida che mi vede bene; io – se avessi fiato – gli risponderei che non mi pare proprio ma voglio credere nel suo giudizio e vado avanti convincendomi che le crisi si superano. Arrivo al sottopasso di Via II settembre. Cerco di rilassarmi un po’ e di riprendere fiato intorno al km 18.
Attraversiamo nuovamente l’Arno e tiriamo dritti sul Lungarno Simonelli. Entriamo in Via Roma e dopo varie curve siamo di nuovo in Piazza dei Miracoli.
E’ qui che accade qualcosa, una specie di magia.
All’improvviso cambia tutto. E’ come se mi sentissi meglio, è come se l’aver superato la crisi mi avesse fatto scovare nuove energie e risorse nascoste. Naturalmente non mi sento una rosa ma la nebbia fitta che avevo in testa, di colpo, sembra essere svanita ed anche la stanchezza ora è più gestibile.
I pacer incitano ad aumentare leggermente il passo e a provare ad allungare. Anche il mio allenatore mi stimola ad allungare ma siamo ancora al km 19 ed io ho paura di schiantare, di scoppiare e di dover tagliare il traguardo a passo d’uomo. Così aspetto ancora un po’. Una carissima amica, compagna di tanta preparazione estiva, che mi sta seguendo in bici, mi dice: “Vai del tuo passo…” ed io vado del mio passo fino al km 20. Manca un chilometro. Il più lungo.
Siamo sul Lungarno Mediceo ed io non ce la faccio più! Chiudo gli occhi, li riapro. Spero di non inciampare mentre procedo alla cieca ma non ce la faccio davvero più. In lontananza, al di là del fiume scorgo il gonfiabile blu con la scritta bianca Cetilar. Eccomi. Prendo coraggio e gratto nel fondo del mio barile in cerca di energie.
L’ultimo ponte, il Ponte della Fortezza e poi l’entrata al Giardino Scotto.
…passo dopo passo, all’ARRIVO.